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Carducci, Giosuè: Ça ira

Portre of Carducci, Giosuè

Ça ira (Italian)

I

Lieto su i colli di Borgogna splende

E in val di Marna a le vendemmie il sole:

Il riposato suol piccardo attende

L’aratro che l’inviti a nuova prole.

 

Ma il falcetto su l’uve iroso scende

Come una scure, e par che sangue cóle:

Nel rosso vespro l’arator protende

L’occhio vago a le terre inculte e sole,

 

Ed il pungolo vibra in su i mugghianti

Quasi che l’asta palleggiasse, e afferra

La stiva urlando: Avanti, Francia, avanti!

 

Stride l’aratro in solchi aspri: la terra

Fuma: l’aria oscurata è di montanti

Fantasimi che cercano la guerra.

 

II

Son de la terra faticosa i figli

Che armati salgon le ideali cime,

Gli azzurri cavalier bianchi e vermigli

Che dal suolo plebeo la Patria esprime.

 

E tu, Kleber, da gli arruffati cigli,

Leon ruggente ne le linee prime;

E tu via sfolgorante in tra i perigli,

Lampo di giovinezza, Hoche sublime.

 

Desaix che elegge a sé il dovere e dona

Altrui la gloria, e l’onda procellosa

Di Murat che s’abbatte a una corona;

 

E Marceau che a la morte radïosa

Puro i suoi ventisette anni abbandona

Come a le braccia d’arridente sposa.

 

III

Da le ree Tuglierí di Caterina

Ove Luigi inginocchiossi a i preti,

E a’ cavalier bretanni la regina

Partía sorrisi lacrime e segreti,

 

Tra l’afosa caligin vespertina

Sorge con atti né tristi né lieti

Una forma, ed il fuso attorce e china,

E con la rócca attinge alta i pianeti.

 

E fila e fila e fila. Tutte sere

Al lume de la luna e de le stelle

La vecchia fila, e non si stanca mai.

 

Brunswick appressa, e in fronte a le sue schiere

La forca; e ad impiccar questa ribelle

Genía di Francia ci vuol corda assai!

 

IV

L’un dopo l’altro i messi di sventura

Piovon come dal ciel, Longwy cadea.

E i fuggitivi da la resa oscura

S’affollan polverosi a l’Assemblea.

 

– Eravamo dispersi in su le mura:

A pena ogni due pezzi un uom s’avea:

Lavergne disparí ne la paura:

L’armi fallían. Che piú far si potea? –

 

– Morir – risponde l’Assemblea seduta.

Goccian per que’ riarsi volti strane

Lacrime: e parton con la fronte bassa.

 

Grande in ciel l’ora del periglio passa,

Batte con l’ala a stormo le campane.

O popolo di Francia, aiuta, aiuta!

 

V

Udite, udite, o cittadini. Ieri

Verdun a l’inimico aprí le porte:

Le ignobili sue donne a i re stranieri

Dan fiori e fanno ad Artois la corte,

 

E propinando i vin bianchi e leggeri

Ballano con gli ulani e con le scorte.

Verdun, vile città di confettieri,

Dopo l’onta su te caschi la morte!

 

Ma Beaurepaire il vivere rifiuta

Oltre l’onore, e gitta ultima sfida

L’anima a i fati a l’avvenire e a noi.

 

La raccolgon dal ciel gli antichi eroi,

E la non nata ancor gente ci grida

“O popolo di Francia, aiuta, aiuta.„

 

VI

Su l’ostel di città stendardo nero

– Indietro! – dice al sole ed a l’amore:

Romba il cannone, nel silenzio fiero,

Di minuto in minuto ammonitore.

 

Gruppo d’antiche statue severo

Sotto i nunzi incalzantisi con l’ore

Sembra il popolo: in tutti uno il pensiero

– Perché viva la patria, oggi si muore. –

 

In conspetto a Danton, pallido, enorme,

Furie di donne sfilano, cacciando

Gli scalzi figli sol di rabbia armati.

 

Marat vede ne l’aria oscure torme

D’uomini con pugnali erti passando,

E piove sangue donde son passati.

 

VII

Una bieca druidica visione

Su gli spiriti cala e gli tormenta:

Da le torri papali d’Avignone

Turbine di furor torbido venta.

 

O passïon de gli Albigesi, o lenta

De gli Ugonotti nobil passïone,

Il vostro sangue bulica e fermenta

E i cuori inebria di perdizïone.

 

Ecco la pena e il tribunale orrendo

Che d’ombra immane il secol novo impronta!

Oh, sei la Francia tu, bianca ragazza

 

Che su ’l tremulo padre alta sorgendo

A espïare e salvar bevi con pronta

Mano il sangue de’ tuoi da piena tazza?

 

VIII

Gemono i rivi e mormorano i venti

Freschi a la savoiarda alpe natia.

Qui suon di ferro, e di furore accenti.

Signora di Lamballe, a l’Abbadia.

 

E giacque, tra i capelli aurei fluenti,

Ignudo corpo in mezzo de la via;

E un parrucchier le membra anco tepenti

Con sanguinose mani allarga e spia.

 

Come tenera e bianca, e come fina!

Un giglio il collo e tra mughetti pare

Garofano la bocca piccolina.

 

Su, co’ begli occhi del color del mare,

Su, ricciutella, al Tempio! A la regina

Il buon dí de la morte andiamo a dare.

 

IX

Oh non mai re di Francia al suo levare

Tali di salutanti ebbe un drappello!

La fósca torre in quel tumulto pare

Sperso nel mezzodí notturno uccello.

 

Ivi su ’l medio evo il secolare

Braccio discese di Filippo il Bello,

Ivi scende de l’ultimo Templare

Sul’ultimo Capeto oggi l’appello.

 

Ecco, mugge l’orribile corteo:

La fiera testa in su la picca ondeggia,

E batte a le finestre. Ed il re prono

 

Da le finestre de la trista reggia

Guarda il popolo, e a Dio chiede perdono

De la notte di San Bartolommeo.

 

X

Al calpestío de’ barbari cavalli

Ne l’avel si svegliò dunque Baiardo?

E su le dolci orleanesi valli

La Pulcella rileva il suo stendardo?

 

Dal’Alta Sona e dal ventoso Gardo

Chi vien cantando a i mal costrutti valli

Sbarrati di tronchi alberi? È il gagliardo

Vercingetorix co’ suoi rossi Galli?

 

No: Dumouriez, la spia, nel cor riscuote

Il genio di Condè: sopra la carta

Militare uno sguardo acceso lancia,

 

Ed una fila di colline ignote

Additando – Ecco – dice –, o nuova Sparta,

Le felici Termopile di Francia. –

 

XI

Su i colli de le Argonne alza il mattino

Brumoso, accidïoso e lutolento.

Il tricolor bagnato in su ’l mulino

Di Valmy chiede in vano il sole e il vento.

 

Sta, sta, bianco mugnaio. Oggi il destino

Per l’avvenire macina l’evento,

E l’esercito scalzo cittadino

Dà col sangue a la ruota il movimento.

 

– Viva la patria – Kellermann, levata

La spada in tra i cannoni, urla, serrate

De’ sanculotti l’epiche colonne.

 

La marsigliese tra la cannonata

Sorvola, arcangel de la nova etate,

Le profonde foreste de le Argonne.

 

XII

Marciate, o de la patria incliti figli,

De i cannoni e de’ canti a l’armonia:

Il giorno de la gloria oggi i vermigli

Vanni a la danza del valore apria.

 

Ingombra di paura e di scompigli

Al re di Prussia è del tornar la via:

Ricaccia gli emigrati a i vili esigli

La fame il freddo e la dissenteria.

 

Livido su quel gran lago di fango

Guizza il tramonto, i colli d’un modesto

Riso di sole attingono la gloria.

 

E da un gruppo d’oscuri esce Volfango

Goethe dicendo: Al mondo oggi da questo

Luogo incomincia la novella storia.



Uploaded byP. T.
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