The page of Leopardi, Giacomo, Italian biography
Biography
Cangiando spesse volte il luogo della mia dimora, e fermandomi dove più dove meno o mesi o anni, m'avvidi che io non mi trovava mai contento, mai nel mio centro, mai naturalizzato in luogo alcuno, comunque per altro ottimo, finattantochè io non aveva delle rimembranze da attaccare a quel tal luogo, alle stanze dove io dimorava, alle vie, alle case che io frequentava; le quali rimembranze non consistevano in altro che in poter dire: qui fui tanto tempo fa; qui, tanti mesi sono, feci, vidi, udii la tal cosa; cosa che del resto non sarà stata di alcun momento; ma la ricordanza, il potermene ricordare, me la rendeva importante e dolce. Ed è manifesto che questa facoltà e copia di ricordanze annesse ai luoghi abitati da me, io non poteva averla se non con successo di tempo, e col tempo non mi poteva mancare. Però io era sempre tristo in qualunque luogo nei primi mesi, e coll'andar del tempo mi trovava sempre divenuto contento ed affezionato a qualunque luogo."Così scriveva di sé Leopardi nello Zibaldone mentre si trovava in Firenze il 23 luglio 1827, quando stava per cominciare la sua grande stagione poetica.
Spesso ha cambiato città: Roma, Bologna, Milano, Firenze, Pisa, Napoli e ovviamente Recanati le città nelle quali ha abitato e lasciato una traccia evidente del suo passaggio, mai naturalizzato in luogo alcuno, neanche nella sua Recanati, di cui sentiva una vaga nostalgia quando si trovava lontano, ed è la stessa nostalgia che soffrono gli esuli quando si trovano lontano dalla patria, perché viene a mancare qualcosa che sia in grado di dare veramente sicurezza. L'esule, come dicono i francesi, sarà sempre un déraciné, uno sradicato, sempre legato alla terra d'origine, anche quando tutti i legami sembrano spezzati, e mai inserito veramente nella terra d'arrivo, nella quale si vive la vita come sospesi in un vuoto che non è vuoto perché c'è l'esistenza da affrontare giorno per giorno.
Leopardi vive sospeso tra la speranza di qualcosa di veramente vivo in cui trovarsi bene e realizzarsi e la disillusione creata da una realtà quotidiana che non è mai quella che si aspettava; crede che tutti gli uomini debbano essere pronti a riconoscere in lui un uomo e magari un uomo superiore, ma ben presto resta disilluso dal fatto che tutti gli uomini pensano innanzitutto a se stessi e che la solidarietà resta un fatto puramente letterario. In ogni luogo si trova privo di ogni speranza, una privazione che, succeduta al suo primo ingresso nel mondo, a poco a poco spegne in lui quasi ogni desiderio, per cui si trova "nella strana situazione di aver molta più speranza che desiderio, e più speranze che desiderii ec. (Pisa. 19. 1828.)". Siamo nel mese di gennaio del 1828.
Sono giorni di chiarificazione intima per arrivare a una accettabile collocazione della propria esistenza nel mondo e preparano il terreno alla poesia dei Grandi Idilli: "Uno de' maggiori frutti che io mi propongo e spero da' miei versi, è che essi riscaldino la mia vecchiezza col calore della mia gioventù; è di assaporarli in quella età, e provar qualche reliquia de' miei sentimenti passati, messa quivi entro, per conservarla e darle durata, quasi in deposito; è di commuover me stesso in rileggerli, come spesso mi accade, e meglio che in leggere poesie d'altri: (Pisa. 15. Apr. 1828.) oltre la rimembranza, il riflettere sopra quello ch'io fui, e paragonarmi meco medesimo; e in fine il piacere che si prova in gustare e apprezzare i propri lavori, e contemplare da se compiacendosene, le bellezze e i pregi di un figliuolo proprio, non con altra soddisfazione, che di aver fatta una cosa bella al mondo; sia essa o non sia conosciuta per tale da altrui. (Pisa. 15. Feb. ult. Venerdì di Carnevale. 1828.)."
Giuseppe Bonghi
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